La cattedrale metropolitana di Nostra Signora (in francese: Cathédrale métropolitaine Notre-Dame; in latino: Ecclesia Cathedralis Nostrae Dominae), conosciuta anche come cattedrale di Notre-Dame o più semplicemente Notre-Dame (pronuncia [nɔtʁə dam]), è il principale luogo di culto cattolico di Parigi, cattedrale dell'arcidiocesi di Parigi. il cui arcivescovo metropolita è anche primate di Francia.
Ubicata nella parte orientale dell'Île de la Cité, nel cuore della capitale francese, nella piazza omonima, rappresenta una delle costruzioni gotiche più celebri del mondo ed è uno dei monumenti più visitati di Parigi.
In base alla Legge francese sulla separazione tra Stato e Chiesa del 1905, l'edificio è proprietà dello Stato francese, come tutte le altre cattedrali fatte costruire dal Regno di Francia, e il suo utilizzo è assegnato alla Chiesa cattolica.
La cattedrale, basilica minore dal 27 febbraio 1805, è monumento storico di Francia dal 1862 e Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO dal 1991.
Vittorio Sgarbi
La tragedia di Notre-Dame ha un valore simbolico ma nulla di più. Almeno secondo Vittorio Sgarbi, storico e critico d’arte intervenuto in Tivù , dove si è reso al solito protagonista di uno scontro con lo psicologo Meluzzi (che di arte crediamo ne capisca ben poco): «L’intervento dei pompieri è stato efficace. La guglia che è caduta è un’architettura del 1870. La tragedia è morale, sì, ma tutto è riparabile. Il crollo della cattedrale di Noto è stato più grave, in 10 anni l’abbiamo recuperata. Inoltre non ci sono morti, non c’è terrorismo. Questo pianto generale è inutile, è una tragedia legata a un simbolo perfettamente recuperabile. Non possiamo credere di non poter ricostruire qualcosa che è stato fatto nel 1800».
Ma non è tutto. Aggiunge Sgarbi: «Dobbiamo essere attenti la prossima volta che si fa un restauro a mettere le impalcature in sicurezza.
Le fiamme sono divampate per un corto circuito nella struttura montata per il restauro».
A chi gli fa notare il valore simbolico dell’evento, Sgarbi ribadisce: «All’interno non ci sono opere antiche, ci sono i muri e alcuni affreschi del secondo 800. Le cose irreparabili sono quelle in cui perdi opere importanti e centrali nella cultura dell’occidente. Le vetrate di Notre Dame sono state finite nel 1967 e sono delle opere assolutamente triviali e di nessuna importanza. Lì non c’è nulla. Non è come una chiesa italiana che ha un palinsesto secolare. L’arredo è di strutture neogotiche, tipo E.T., cose scenografiche nessun capolavoro. Ma cosa abbiamo perso di Notre-Dame? Ditemi un nome, ditemi un monumento, una statua, una scultura. La corona di Cristo? E’ una reliquia finta. La parte importante è nelle due torri, restate intattie.
Basta retorica, bisogna distinguere tra le opere d’arte e le cartoline».
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I restauri di Eugène Viollet-le-Duc: teoria e prassi
Architetto e cultore della storia dell’architettura medievale, Eugène Viollet-le-Duc (1814-1879) ha rivestito un ruolo di fondamentale importanza nel campo del restauro.
Egli iniziò ad occuparsi della conservazione dei monumenti medievali in seno alla Commissione dei Monumenti Storici, istituita in Francia in seguito alla grande rivalutazione dell’arte del Medioevo. Iniziò la sua attività come giovane ricercatore e per un lungo periodo attraversò tutta la Francia, studiando ed analizzando il linguaggio architettonico, le varie tipologie di edifici e gli elementi architettonici che li costituivano. Il suo lavoro confluì in una grande opera, il Dizionario ragionato dell’architettura francese, edito il dieci volumi tra il 1854 e il 1868. In esso, tutti gli elementi architettonici erano classificati per periodo storico e regione e illustrati per mezzo di disegni.
La corrente Positivista portò all’idea di censire in maniera sistematica ogni tipo di opera e monumento. La nascita di storie dell’arte divise per periodi risvegliò inoltre l’interesse per lo studio dei documenti d’archivio.
Il primo monumento di cui Viollet si occupò come Ispettore della Commissione dei monumenti storici francesi fu il progetto per il restauro della chiesa della Maddalena a Vézelay. Dai disegni che egli eseguì prima del restauro si nota che la struttura, oltre ad avere una parte ritoccata e una porta murata, stava franando. L’architetto ricostruì alcune parti cadute, pur senza completare allo stesso livello le due torri in facciata.
Un lavoro successivo fu quello del restauro della cittadella fortificata di Carcassone. L’intervento, iniziato nel 1849, lo tenne impegnato per quasi venti anni nel tentativo di restituire all’insieme un carattere e un aspetto tipicamente medievale, con tutto un repertorio di torri, guglie e merlature.
Il restauro che consacrò la fama di Viollet-le-Duc fu quello della Cattedrale di Notre Dame di Parigi (1845-64), abbandonata dopo la Rivoluzione. La struttura versava in uno stato di totale abbandono ed era stata oggetto di atti vandalici, tanto che si fece largo l’ipotesi di un suo probabile abbattimento. Viollet ripristinò sia la struttura che il ricco apparato scultoreo: nei tre portali della facciata, molte figure sono in realtà frutto di rifacimenti in stile. Inoltre, egli fece innalzare la guglia posta all’incrocio fra la navata principale ed il transetto. Realizzata in ghisa, la struttura reca alla base dodici figure di apostoli e, secondo la tradizione, uno di essi riproduce le fattezze dell’architetto. Per quanto concerne le due torri in facciata, Viollet-le-Duc decise di non completarle, convinto che un simile intervento avrebbe mutato troppo incisivamente l’aspetto ormai consolidato nella mentalità comune di questo monumento così celebre e significativo.
Più tardi, però, proprio la sua abilità e padronanza dei testi medievali, gli valsero la cattiva fama di “falsificatore”. Infatti, la sua teoria di intervento si basava sul cosiddetto “restauro di ripristino” o “restauro in stile”. Partendo da una attenta analisi dell’opera, egli cercava di definirne l’esatto stile originario. Successivamente, demoliva le parti aggiunte e ricostruiva tutte quelle mancanti. Pertanto, il suo obiettivo era riportare indietro le lancette del tempo e risalire all’idea progettuale, senza tenere conto dei cambiamenti apportati nel tempo e delle addizioni risalenti a epoche successive. Secondo la sua concezione, bisognava terminare in stile il monumento anche se, per cause fortuite, non fosse stato completato. Rispetto al passato, dunque, si poteva essere in grado di individuare e di riconoscere come era lo stile dell’opera in origine e, grazie ai nuovi strumenti culturali e tecnici, la si poteva riprodurre in maniera fedele.
Nella sua attività matura, Viollet-le-Duc abbandonò il rigore che aveva caratterizzato i suoi restauri giovanili e si lanciò in interventi anche molto estesi, forte della sua vastissima conoscenza teorica e storica. La sua impostazione ha influenzato molti restauri successivi e diverse città italiane sono state oggetto di demolizioni e di tentativi di ripristino del loro aspetto originario. È evidente che un restauro di questo tipo tenda a selezionare solo una fase storica e a conservare solo quella. Oggi un restauro come lo intendeva Viollet non è più concepibile, ma bisogna comunque riconoscere che è stato un personaggio di alto livello e che il suo metodo era improntato ad una serietà che lo contraddistingueva da tutti i suoi seguaci.
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